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libro nono 259

Spinto dal mar, subitamente giunse.
Quivi eran l’altre navi in su l’arena,695
E i compagni, che assisi ad esse intorno
Ci attendean sempre con agli occhi il pianto.
Noi tosto in secco la veloce nave
Tirammo, e fuor n’uscimmo, e, del Ciclope
Trattone il gregge, il dividemmo in guisa,700
Che parte ugual n’ebbe ciascuno. È vero,
Che voller, che a me sol, partite l’agne,
Il superbo arïete anco toccasse.
Io di mia mano al Saturníde, al cinto
D’oscure nubi Correttor del Mondo,705
L’uccisi, e n’arsi le fiorite cosce.
Ma non curava i sagrifizi Giove,
Che anzi tra sè volgea, com’io le navi
Tutte, e tutti i compagni al fin perdessi.
L’intero dì sino al calar del Sole710
Sedevam banchettando: il Sole ascoso,
Ed apparse le tenebre, le membra
Sul marin lido a riposar gettammo.
     Ma come del mattin la figlia, l’Alba
Ditirosata in Orïente sorse,715
I compagni esortai, comandai loro
Di rimbarcarsi, e liberar le funi.
E quei si rimbarcavano, e su i banchi