Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/271

256 odissea

Che la carne cenar nelle tue case
Non temevi degli ospiti. Vendetta620
Però Giove ne prese, e gli altri Numi.
     A queste voci Polifemo in rabbia
Montò più alta, e con istrana possa
Scagliò d’un monte la divelta cima,
Che davanti alla prua caddemi: al tonfo625
L’acqua levossi, ed innondò la nave,
Che alla terra crudel, dai rifluenti
Flutti portata, quasi a romper venne.
Ma io, dato di piglio a un lungo palo,
Ne la staccai, pontando; ed i compagni630
D’incurvarsi sul remo, e in salvo addursi,
Più de’ cenni pregai, che della voce.
E quelli tutte ad inarcar le terga.
Scorso di mar due volte tanto, i detti
A Polifemo io rivolgea di nuovo,635
Benchè gli amici con parole blande
D’ambo i lati tenessermi: Infelice!
Perchè la fera irritar vuoi più ancora?
Così poc’anzi a saettar si mise,
Che tre dita mancò, che risospinto640
Non percotesse al continente il legno.
Fa, che gridare, o favellar ci senta,
E volerà per l’aere un’altra rupe,