Vivo, ed a forza in barbara contrada.
Pur, benchè il vanto di profeta, o quello
D’augure insigne io non m’arroghi, ascolta270
Presagio non fallace, che su i labbri
Mettono a me gli Eterni. Ulisse troppo
Non rimarrà della sua patria in bando,
Lo stringessero ancor ferrei legami.
Da quai legami uom di cotanti ingegni275
Disvilupparsi non sapria? Ma schietto
Parla: sei tu vera sua prole? Certo
Nel capo, e ne’ leggiadri occhi ad Ulisse
Molto arïeggi tu. Pria, che per Troja,
Che tutto a sè chiamò di Grecia il fiore,280
Sciogliesse anch’ei su le cavate navi,
Io, come oggi appo il tuo, così sedea
Spesse volte al suo fianco, ed egli al mio.
D’allora io non più lui, nè me vid’egli.
E il prudente Telemaco: Sincero285
Risponderò. Me di lui nato afferma
La madre veneranda. E chi fu mai,
Che per se stesso conoscesse il padre?
Oh foss’io figlio d’un, che una tranquilla
Vecchiezza còlto ne’ suoi tetti avesse!290
Ma, poichè tu mel chiedi, al più infelice
Degli uomini la vita, ospite, io deggio.