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libro nono 251

Che altri il regge con mano, altri tirando
Va d’ambo i lati le corregge, e attorno495
L’instancabile trapano si volve:
Sì nell’ampia lucerna il trave acceso
Noi giravamo. Scaturiva il sangue,
La pupilla bruciava, ed un focoso
Vapor, che tutta la palpebra, e il ciglio500
Struggeva, uscia della pupilla, e l’ime
Crepitarne io sentia rotte radici.
Qual se fabbro talor nell’onda fredda
Attuffò un’ascia, o una stridente scure,
E temprò il ferro, e gli diè forza; tale505
L’occhio intorno al troncon cigola e frigge.
     Urlo il Ciclope sì tremendo mise,
E tanto l’antro rimbombò, che noi
Qua e là ci spargemmo impauriti.
Ei fuor cavossi dell’occhiaja il trave,510
E da sè lo scagliò di sangue lordo,
Furïando per doglia: indi i Ciclopi,
Che non lontani le ventose cime
Abitavan de’ monti in cave grotte,
Con voce alta chiamava. Ed i Ciclopi,515
Quinci, e quindi accorrean, la voce udita,
E, soffermando alla spelonca il passo,
Della cagione il richiedean del duolo.