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libro nono 249

Questa, con cui libar, recarti io volli,
Se mai, compunto di nuova pietade,445
Mi rimandassi alle paterne case.
Ma il tuo furor passa ogni segno. Iniquo!
Chi più tra gl’infiniti uomini in terra
Fia, che s’accosti a te? Male adoprasti.
     La coppa ei tolse, e bebbe, ed un supremo450
Del soave licor prese diletto,
E un’altra volta men chiedea: Straniero,
Darmene ancor ti piaccia, e mi palesa
Subito il nome tuo, perch’io ti porga
L’ospital dono, che ti metta in festa.455
Vino ai Ciclopi la feconda terra
Produce col favor di tempestiva
Pioggia, onde Giove le nostre uve ingrossa:
Ma questo è ambrosia, e nettare celeste.
     Un’altra volta io gli stendea la coppa.460
Tre volte io la gli stesi; ed ei ne vide
Nella stoltezza sua tre volte il fondo.
Quando m’accorsi, che saliti al capo
Del possente licor gli erano i fumi,
Voci blande io drizzavagli: Il mio nome,465
Ciclope, vuoi? L’avrai: ma non frodarmi
Tu del promesso a me dono ospitale.
Nessuno è il nome: me la madre, e il padre