Percoteali alla terra, e ne spargea
Le cervella, ed il sangue. A brano a brano370
Dilacerolli, e s’imbandì la cena.
Qual digiuno leon, che in monte alberga,
Carni, ed interïora, ossa, e midolle,
Tutto vorò, consumò tutto. E noi
A Giove ambo le man tra il pianto alzammo,375
Spettacol miserabile scorgendo
Con gli occhi nostri, e disperando scampo.
Poichè la gran ventraja empiuto s’ebbe,
Pasteggiando dell’uomo, e puro latte
Tracannandovi sopra, in fra le agnelle380
Tutto quant’era ei si distese, e giacque.
Io, di me ricordandomi, pensai
Farmigli presso, e la pungente spada
Tirar nuda dal fianco, e al petto, dove
La corata dal fegato si cinge,385
Ferirlo. Se non ch’io vidi, che certa
Morte noi pure incontreremmo, e acerba:
Chè non era da noi tor dall’immenso
Vano dell’antro la sformata pietra,
Che il Ciclope fortissimo v’impose.390
Però, gemendo, attendevam l’Aurora.
Sorta l’Aurora, e tinto in roseo il cielo,
Il foco ei raccendea, mugnea le grasse