Che tal non mi dovean mettere in luce,
Parenti miei? Testimon siate, o Numi,420
Del lor giacersi uniti, e dell’ingrato
Spettacol, che oggi sostener m’è forza.
Ma infredderan nelle lor voglie, io credo,
Benchè sì accesi, e a cotai sonni in preda
Più non vorranno abbandonarsi. Certo425
Non si svilupperan d’este catene,
Se tutti prima non mi torna il padre
Quei, ch’io posi in sua man, doni dotali
Per la fanciulla svergognata: quando
Bella, sia loco al ver, figlia ei possiede,430
Ma del proprio suo cor non donna punto.
Disse; e i Dei s’adunaro alla fondata
Sul rame casa di Vulcano. Venne
Nettuno, il Dio, per cui la terra trema,
Mercurio venne de’ mortali amico,435
Venne Apollo dal grande arco d’argento.
Le Dee non già: chè nelle stanze loro
Riteneale vergogna. Ma i datori
D’ogni bramato ben Dei sempiterni
Nell’atrio s’adunâr: sorse tra loro440
Un riso inestinguibile, mirando
Di Vulcan gli artifici; e alcun, volgendo
Gli occhi al vicino, in tai parole uscia: