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libro ottavo 213

Vassene, e ai Sintii di selvaggia voce.
     Piacque l’invito a Venere, e su quello395
Salì con Marte, e si corcò: ma i lacci
Lor s’avvolgean per cotal guisa intorno,
Che stendere una man, levare un piede,
Tutto era indarno; e s’accorgeano al fine,
Non aprirsi di scampo alcuna via.400
S’avvicinava intanto il fabbro illustre,
Che volta diè dal suo viaggio a Lenno:
Perocchè il Sole spiator la trista
Storia gli raccontò. Tutto dolente
Giunse al suo ricco tetto, ed arrestossi405
Nell’atrio: immensa ira l’invase, e tale
Dal petto un grido gli scoppiò, che tutti
Dell’Olimpo l’udîr gli abitatori:
O Giove padre, e voi, disse, beati
Numi, che d’immortal vita godete,410
Cose venite a rimirar da riso,
Ma pure insopportabili: Ciprigna,
Di Giove figlia, me, perchè impedito
De’ piedi son, cuopre d’infamia ognora,
Ed il suo cor nell’omicida Marte415
Pone, come in colui, che bello, e sano
Nacque di gambe, dove io mal mi reggo.
Chi sen vuole incolpar? Non forse i soli,