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libro ottavo 209

Io di gran lunga superar mi vanto:
Chè non vo’ pormi io già co’ prischi eroi,295
Con Eurito d’Ecalia, o con Alcide,
Che agli Dei stessi di scoccar nell’arte
Si pareggiaro. Che ne avvenne? Giorni
Sorser pochi ad Euríto, e le sue case
Nol videro invecchiar: poscia che Apollo300
Forte si corrucciò, che disfidato
L’avesse all’arco, e di sua man l’uccise.
Dell’asta poi, quanto nessun di freccia
Saprebbe, io traggo. Sol nel corso io temo,
Non mi vantaggi alcun: chè tra che molto305
M’afflisse il mare, e che non fu il mio legno
Sempre vettovagliato, a me, qual prima,
Non ubbidisce l’infedel ginocchio.
     Ammutolì ciascuno, e Alcinoo solo
Rispose: Forestier, la tua favella310
Sgradir non ci potea. Sdegnato a dritto
De’ motti audaci, onde colui ti morse,
La virtù mostrar vuoi, che t’accompagna,
Virtù, che or da chi tanto o quanto scorga,
Più biasmata non fia. Ma tu m’ascolta:315
Acciocchè un dì, quando nel tuo palagio
Sederai con la sposa, e i figli a mensa,
E quel, che di gentile in noi s’annida,