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libro settimo 185

Stupian, guardando l’uom, che alla Reina
Supplicava in tal forma: O del divino195
Ressenore figliuola, illustre Arete,
Alle ginocchia tue, dopo infiniti
Disastri io vegno, vegno al tuo consorte,
E a questi Grandi ancor, cui dì felici
Menar gli Dei concedano, e ne’ figli200
Le ricchezze domestiche, e gli onori,
Che s’acquistaro, tramandare. Or voi
Scorta m’apparecchiate, acciocchè in breve
Alla patria io mi renda, ed agli amici,
Da cui vivo lontan tra i guai gran tempo.205
     Disse, e andò al focolare, e innanzi al foco
Sovra l’immonda cenere sedette:
Nè alcun fra tanti apria le labbra. Al fine
Parlò l’eroe vecchio Etenéo, che in pronto
Molte avea cose trapassate, e tutti210
Di facondia vincea non men, che d’anni.
Alcinoo, disse con amico petto,
Poco ti torna onor, che su l’immonda
Cenere il forestier sieda; e se nullo
Muovesi, egli è, perchè un tuo cenno aspetta.215
Su via, leval di terra, e in sedia il poni
Borchiettata d’argento; e ai banditori
Mescer comanda, onde al gran Giove ancora,