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libro quinto 137

Torrei per me, se in cotant'uopo io fossi.
Giustizia regge la mia mente, e un'alma245
Pietosa, non di ferro, in me s'annida.
     Ciò detto, abbandonava il lido in fretta,
E Ulisse la seguia. Giunti alla grotta,
Colà, dond'era l'Argicida sorto,
S'adagiò il Laerziade; e la Dea molti250
Davante gli mettea cibi, e licori,
Quali ricever può petto mortale.
Poi gli s'assise a fronte; e a lei le ancelle
L'ambrosia, e il roseo nettare imbandiro.
     Come ambo paghi per la mensa furo,255
Con tali accenti cominciava l'alta
Di Calipso beltade: O di Laerte
Figlio divin, molto ingegnoso Ulisse,
Così tu parti adunque, e alla nativa
Terra, e alle case de' tuoi padri vai?260
Va, poichè sì t'aggrada, e va felice.
Ma se tu scorger del pensier potessi
Per quanti affanni ti comanda il fato
Prima passar, che al patrio suolo arrivi,
Questa casa con me sempre vorresti265
Custodir, ne son certa, e immortal vita
Da Calipso accettar: benchè sì viva
Brama t'accenda della tua consorte,