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112 odissea

     Sorrise il forte ne’ conflitti Atride,
E, la mano a Telemaco stringendo,770
Sei, disse, o figlio, di buon sangue, e a questa
Tua favella il dimostri. E bene, i doni
Ti cambierò: farlo poss’io. Di quanto
La mia reggia contien, ciò darti io voglio,
Che più mi sembra prezïoso e raro:775
Grande urna effigïata, argento tutta,
Dai labbri in fuor, sovra cui l’oro splende,
Di Vulcano fattura. Io dall’egregio
Fedimo, Re di Sidone, un dì l’ebbi,
Quando il palagio suo me, che di Troja780
Venía, raccolse; e tu n’andrai con questa.
     Così tra lor si ragionava. Intanto
Dell’Atride i ministri al suo palagio
Conducean pingui pecorelle, e vino
Di coraggio dator: mentre le loro785
Consorti il capo di bei veli adorne
Candido pan recavano. In tal guisa
Si mettea qui l’alto convivio in punto.
     Ma in altra parte, e alla magion davante
Del magnanimo Ulisse, i Proci alteri790
Dischi lanciavan per diletto, e dardi
Sul pavimento lavorato e terso,
Della baldanza lor solito campo.