Te rimenato non avesse Palla.
Sì di tutta la Grecia ei fu salute.370
E ciò la doglia, o Menelao, m’accresce,
Ripigliava il garzone. A che gli valse
Tanta virtù, se non potea da Morte
Difenderlo, non che altro, un cor di ferro?
Ma deh! piacciavi omai, che ritroviamo375
Dove posarci, acciò su noi del sonno
La dolcezza ineffabile discenda.
Sì disse; e l’Argiva Elena all’ancelle
I letti apparecchiar sotto la loggia,
Belle gittarvi porporine coltri,380
E tappeti distendervi, e ai tappeti
Manti vellosi sovrapporre, ingiunse.
Quelle, tenendo in man lucide faci,
Usciro, e i letti apparecchiaro: innanzi
Movea l’araldo, e gli ospiti guidava.385
Così nell’atrio s’adagiaro entrambi:
Nel più interno corcavasi l’Atríde,
E la divina tra le donne Eléna
Il sinuoso peplo, ond’era cinta,
Depose, e giacque del consorte a lato.390
Ma come del mattin la bella figlia
Rabbellì il ciel con le rosate dita,
Menelao sorse, rivestissi, appese