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ΟΔΥΣΣΕΙΑΣ Α.1




Ἄνδρα μοι ἔννεπε, Μοῦσα, πολύτροπον, ὃς μάλα πολλά2

  1. Il titolo, che gli Alessandrini preposero a ogni libro, segna a questo la divisione in due parti principali: 1. l'adunanza degli dei; 2. i consigli di Athena a Telemaco; ma lo sviluppo di esso è ben ampio. Athena, nell’adunanza dei numi, prospetta il caso e la dura vicenda di Ulisse, l’unico dei Greci non ancora tornato in patria — e forse lo desiderava più di tutti! — dopo la caduta di Troia. Ma Poseidone era irato inflessibilmente con lui, per l’accecamento di Polifemo; ora Athena, in assenza del dio, propone il ritorno dell’eroe, e Zeus con gli altri dei acconsente. Si manda Ermete da Calipso per imporle di rimandar libero Ulisse; Athena, sotto l’aspetto di Mente re dei Tafì, scende a Itaea, nella reggia, e vi trova i Proci banchettanti e Telemaco che assiste allo scempio della sua casa con impotente dolore. — Lo conforta, lo consiglia a far ricerche del padre certamente ancor vivo, e scompare prodigiosamente. — Telemaco, — e qui comincia l’ultima parte del libro — partita la dea, si mescola ai Proci, trasformato nell’animo, ad ascoltare il canto di Femio, l’aedo cieco, che cantava il luttuoso ritorno dei Greci. — Penelope dalle sue stanze l’ode e tutta attristata scende nella sala, e invita l’aedo a tacere o a cantare di qualche altro argomento. - Telemaco con virile inusitata fermezza la invita a ritirarsi, poi si volge con fiere parole a rimbrottare i Proci che ne rimangono stupiti. — Lo ribatte Antinoo; Eurimaco, poi, con modi più concilianti, gli domanda notizie dell’ospite subitamente scomparso. — Cala la sera fra i bagordi dei Proci che finalmente se ne vanno a dormire. — Telemaco fa altrettanto, ma non gli riesce di prendere sonno tutta la notte, pensando al viaggio consigliato da Athena.
  2. 1. Ἄνδρα μοι ἔννεπε: invocazione grandiosa nella sua semplicità, non molto dissimile da quella dell’Iliade; pure c’è qui un elemento nuovo ed essenziale; qui appare la figura del poeta (μοί), che là non si manifesta. — ἄνδρα, in posizione privilegiata, senza nome proprio, è più efficace: pensa all’Ei fu del Manzoni. Del resto, Ulisse non sarà nominato che al v. 21. — ἔννεπε (ἐννέπω), dalla rad. (σεπ-) lat. sec (distingui da quella di sequor! cfr. inquit). Cfr. la traduzione di Livio Andronico: «Virum, mihi, Camena, insece versutum» e la parafrasi oraziana «Dic mihi, Musa, virum, captae post tempora Troiae Qui mores hominum multorum vidit et urbes». Orazio, studioso assiduo e ammiratore del Nostro, nella Ep. I 2, considera i