E il dolce canto s’annullò nell’aria;
nè più cantò che il mare su la spiaggia
con lo sciacquare dell’eterne ondate. 65E presso il cuore d’Odisseo dormente,
gemeva il fonte d’Aretusa, noto
alla sua cara fanciullezza estinta.
E nell’antro sonava il sottil fischio
delle spole immortali, e il lento tonfo 70degli immortali pettini: le ninfe
tessean tuttora su’ telai di pietra.
E nell’olivo grande, alto, fronzuto,
errava qualche squittinìo d’uccello
che s’era desto; e qualche arguta stilla 75gocciava su le nere alghe del lido:
chè la nebbietta, a ritardare il giorno,
dai cupi botri qua e là fumava,
simile a placido alito di sonno.
E l’eroe si svegliò. Sobbalzò tetro 80ai primi raggi che di tra la nebbia
uscian, dell’alba; e tutto era mutato;
e tutto gli mostrava altri sembianti:
le lunghe strade ed i tranquilli approdi,
e le rupi scoscese e i casolari 85da cui s’alzava, sfaccendando, il fumo.
E i peri e i meli gli fiorian diverso
da quel che, assenti, nella sua memoria,
gli avean per dieci e dieci anni fiorito
perennemente. E non udì nell’antro 90stridere lievi i pettini e le spole
delle sue ninfe, ed a’ suoi piedi invano