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Questa ode e le due seguenti formano come un poemetto lirico, destinato alla famiglia degli Psalicidi, atleti celeberrimi (I. VI, 65). Fra i loro antenati Pindaro ricorda Temistio (I. VI, 67; N. V, 58) e Cleonico (I. VI, 15; I. V, 61) padre di Lampone, padre, a sua volta, dei due vincitori Pitea e Filacida: loro zio materno era Eutimene, atleta al par di tutti gli altri (I. VI. 74; N. V, 48).
La prima delle odi celebra una vittoria di Pitea a Nemea; e parrebbe che nella medesima gara vincesse anche Filacida: ad ogni modo, nelle gare dei giovinetti, perché Filacida era discepolo di Pitea, che in questa vittoria era appena pubere. Per vittorie di Filacida furono composte la seconda (I. VI) e la terza (I. V): quest’ultima dopo, e, parrebbe, subito dopo la battaglia di Salamina (480). Le prime due son dunque anteriori di qualche anno a questa data.
Ecco lo schema della Nemea V.
Io — dice il poeta — non sono statuario; ma per celebrare la vittoria di Pitea compongo una canzone che, al contrario della statua, ferma in un luogo, volerà di luogo in luogo a celebrare il vincitore (1-7).
Questi ha ricoperto d’onore gli Eàcidi ed Egina: Egina per la cui prosperità pregavano un tempo, d’amore e d’accordo, Peleo, Telamone, e il loro fratellastro Foco. Non voglio ricordare il fratricidio che seguí a quella concordia