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Un cugino omonimo del vincitore, figliuolo di un Diòdoto (v. 27-35) era morto combattendo per la patria in una battaglia, non sapremmo precisar quale. Di questo glorioso ricordo e del ricordo delle principali glorie mitiche e storiche di Tebe è intessuta quest’ode.

— Quale dei tuoi eroi, delle tue glorie ti lusinga di piú, o Tebe? Diòniso figlio di Semèle e nipote di Cadmo, che donò agli uomini l’ebbrezza? Perseo nato dalla pioggia d’oro caduta in grembo a Danae? Eracle? Tiresia? Iolao? Gli Sparti, nati dai denti del drago seminati da Cadmo? Oppure l’avere respinto Adrasto? O perché spedisti colonie doriche in Laconia ed in Amicla? (1-17).

Ora t’aggiunge una nuova gloria la vittoria di Strepsiade: e conviene cantarla, perché oblio cuopre le imprese non eternate dal canto (18-26). Vittoria che effonde gloria anche sulle gesta del suo cugino omonimo, che diede la vita combattendo per la patria (27-40). Fu, quella morte (o quella battaglia?) cruccio indicibile al poeta. Ora Posidone, protettore dell’Istmo, gli ha restituito la serenità, mentr’egli piega giú verso gli ultimi suoi anni. Chiudono l’ode le solite riflessioni sul dovere che hanno gli uomini di limitare le loro aspirazioni: e l’augurio d’una vittoria a Pito.

L’accenno di Pindaro alla propria vecchiaia basta da solo,