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PARTENII 255


avesse vivi il padre e la madre; e, accanto a lui, il suo piú prossimo parente portava un ramo d’ulivo coronato di foglie d’alloro, di fiori, e di parecchie sfere di bronzo. Seguiva il dafneforo, coi capelli sparsi redimiti d’una corona d'oro, e toccava il ramo. Seguiva uno stuolo di fanciulle, che, reggendo ciascuna un ramuscello d’alloro, cantavano l'inno. E tutti movevano verso il santuario d’Apollo.

Esaminate alla luce di questa descrizione, le circostanze materiali del partenio di Pindaro si prestano a parecchie discussioni. A me pare tuttavia che sia facile vedere la verità; purché s’intenda, come del resto, mi sembra, tutti intendono, che il fanciullo che precede il corteo e il dafneforo fossero una sola persona, e che cosí intendesse anche Proclo, sebbene la sua espressione sia ambigua. Allora mi sembra chiaro che il dafneforo sia Agasicle (antistr. III), figlio di Pagonda e nipote di Aiolade (antistr. I), che comandò l’esercito tebano, come beotarco alla battaglia di Delio (423). Il figlio di Dèmena sarà il piú prossimo parente, quello che doveva reggere la rama di ulivo, che, cosí carica, riusciva troppo pesante per le deboli forze di un fanciullo. Lo segue, prima delle cantatrici, sua figlia; e questa fu ammaestrata da una certa Andasistrata.

Questo partenio offre una nota nuova nella poesia pindarica. È intimo, semplice, schietto. Non contiene mito; e le fanciulle sembra dicano che la gravità mitica sconviene a pensieri virginei. Il duplice accenno ai ramuscelli d’alloro che esse tengono danzando e cantando, conferisce alla composizione inesprimibile freschezza. In questi piccolissimi tratti risiede spesso il fascino della poesia greca.