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224 LE ODI DI PINDARO


avevano cori virili (Pindaro dice che «il murmure delle bocche di bronzo di Castalia» — particolare grazioso — sono orfane di cori). Ricorrono a Pindaro. E Pindaro viene, docile come un bambino al richiamo della mamma, recando certamente, oltre al peana, anche i giovani che dovevano cantarlo.

Segue una lacuna. L’epodo I contiene una generica invocazione alle Muse; e nella strofe II si allude alla origine della festa, fondata dai Delfi, sembra, per allontanare una carestia.

Nella medesima strofe II, si inizia la parte mitica. Il mito scelto, è quello della morte di Neottòlemo, assai noto, e già esposto nell’introduzione alla Nemea VII. Non sappiamo se, per qualche ragione che ci sfugge, questo racconto, in cui Neottòlemo non è posto sotto la luce migliore, potesse riuscire accetto ai Delfi. Certo, spiacque agli Egineti; e Pindaro dové farne onorevole ammenda nella già ricordata Nemea VII, per l’egineta Sògene. Del resto, già nelle strofe III di questo peana c’è un magnifico elogio dell’isola d’Egina; il quale prova, ad ogni modo, che il ricordo di Neottòlemo non implica mala intenzione contro la patria di lui.

Prima del mito di Neottòlemo, si accenna con qualche insistenza alla parte che ebbe Apollo nella difesa di Troia. Anche qui, a causa delle lacune, non vediamo se la scelta di questo mito avesse altra ragione, oltre allo scopo generico di esaltare il Nume nella sede del suo piú celebre santuario.

Famosa divenne, appena scoperto il papiro, l’immagine onde Pindaro assicura Egina che anch’essa avrà la sua parte di canto: «Non ti manderemo a letto (o piuttosto: non t’adageremo sul lettuccio del convito) senza cena di peani».