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220 LE ODI DI PINDARO


E a me di buon grado la grazia,
Abdèro, di glorie concedi,
e dei cavalieri l’esercito
conduci alla guerra suprema.


IV

Di questo peana mancano il principio e la fine. Fu composto per gl’isolani di Cèo, anzi, come si ricava da un frammento dell’antistrofe I, per Carnèa, una delle quattro città che costituivano la tetràpoli di Ceo.

Nella parte, abbastanza estesa, che rimane tuttora intelligibile, parla direttamente l’isola, e intesse il proprio elogio. Fra altro, narra il mito locale dell’eroe Eusanzio. Ad Eusanzio fu offerto il condominio di Creta; ma egli rifiutò, per non abbandonare la sua isola. Di questo episodio non sappiamo se non quanto si ricava dal peana stesso. Anche da altre fonti ci è noto invece il racconto che segue, e che risale ai primi tempi dell’isola. Una volta, Giove e Posídone fecero inabissare nel mare quasi tutta l’isola, lasciandone intatta solo una piccola parte, e, in questa, la casa della madre d’Eusanzio. Sicché egli non poté misconoscere il favore palesemente dimostratogli dai Numi con quel salvataggio. Superfluo soggiungere che questo mito ha la sua base reale in qualche terribile sommovimento tellurico.

Tra i proprii fregi, l’isola ricorda anche la poesia: cioè Simonide e Bacchilide, i due rivali di Pindaro. Se esisté, come sembra piú che probabile, qualche animosità fra i poeti, questo elogio fa certo onore alla generosità di Pindaro.