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216 LE ODI DI PINDARO


tenendo misura,
a quello badando
che gli offron le proprie sostanze.

Viva, viva! Ché l’anno or compiuto,
e l’Ore, figliuole di Tèmide,
a Tebe pervennero, amica
dei corsieri, recando i banchetti
amici dei serti,
per Apollo. Deh, a lungo il suo popolo
il Nume precinga coi fiori
del saggio governo.


II

Quando Arpago intraprese la conquista della Ionia, gli abitanti di Teo fuggirono dalla patria, e fondarono una colonia sulla sponda sinistra del Nesto, in un luogo ove già altre volte avevano cercato d’istallarsi i Greci, ma senza successo.

Nei frammenti che ci rimangono di questo peana, Abdera stessa racconta la propria storia, che è dunque storia d’una impresa coloniale.

Gli avi degli Abderiti, conquistarono la terra, scacciandone gli abitatori oltre il monte Athos (?). Poi, facendo gli indigeni varii ritorni offensivi, seguirono vittorie e sconfitte. Una vittoria, specificata, dinanzi ad una «foresta nera». Una sconfitta, sulle rive d’un fiume (il Nesto?). Ma Pindaro espone i fatti nella maniera lirica, ossia per accenni, e senza tener conto della cronologia: sicché, mancandoci assolutamente notizie d’altra fonte, non potremmo specificare.

La «madre della madre», di cui Abdera parla nell’epodo I, è Atene, metropoli di Teo, come questa era metropoli d’Abdera. E l’incendio di cui si parla, è quello dei Persiani.