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È del 460. Composta per l’Egineta Alcimedonte, della famiglia dei Blessiadi. In questa ode son ricordati il padre suo Ifione, l’avolo Callimaco, il fratello maggiore Timostene. Menzione è fatta anche del suo maestro Melesia. L’ode è una delle belle eginetiche: è chiarissima.
Invocazione ad Olimpia, dove gli aruspici traggono i presagi di Giove per chi si cimenta negli agoni (1-7).
E Giove si piega alle preghiere dei pii. Gradisca il bosco di Pisa i serti cinti da Alcimedonte che ne avrà alta gloria (8-12).
Gli uomini hanno varia fortuna. Ai Blessíadi tocca la gloria degli agoni. Timostene vinse a Nemea, Alcimedonte in Olimpia; e coprí di gloria Egina (13-20).
Egina è sede per eccellenza della giustizia: tale fu sin dai tempi d’Eaco (21-30).
Eaco aiutò Febo e Posidone a edificar le mura di Troia. E dopo edificate, apparve un prodigio onde Apollo profetò che la città sarebbe caduta, e con la partecipazione dei discendenti d’Eaco (31-52).
Mai non esisterà cosa che rechi piacere a tutti. Tuttavia, il poeta loderà Melesia, il maestro di Alcimedonte che vinse a Nemea. Egli prima d’insegnare si cimentò: ha quindi autorità e capacità. E gli è degno compenso la vittoria di Alcimedonte, la trentesima riportata dai suoi discepoli (32-70).