Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
ODE NEMEA VII | 165 |
Antistrofe
saprò non fallire la mèta. Dai ludi tornar tu valesti,
òmero e forze non anche bagnati,
avanti che al sole restassero esposti.
Se grande il travaglio, maggiore fu il gaudio.
Or lascia che io per chi vinse — se mai troppo in alto la voce
sviai, non m’è grave di nuovo qui fletterla —
or lascia che intrecci ghirlande. E tu, Musa,
veloce compàgina l’oro col candido avorio, col fiore
di giglio rapito alle schiume roranti del mare.
Epodo
E a Giove la mente volgendo, in Nemèa
il murmure placido degl’inni famosi
fa’ che risuoni. Cantare si deve con dolce loquela
su questo piano, il Signore
dei Numi: ché quivi, raccontano, Eàco
dal grembo materno gli nacque:
V
Strofe
Eàco, che, vigile sopra la patria sua nobile, o Eracle,
ospite, amico, fratello è per te.
Se uom da un altr’uomo può trarre vantaggio,
direi che un vicino che t’ami leale