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ODE NEMEA VII 163


poi ch’ebbe riversa la rocca di Priamo,
per cui s’affannarono i Dànai. Ed ei, navigando, mai piú
a Sciro non giunse. Errabondi toccarono Efíra.


Epodo

E sovra i Molossi regnò poco tempo.
Ma i suoi discendenti lo scettro regale
sempre serbarono. E al Nume di Pito egli mosse, e l’offerte
de le primizie d’Ilio
recò. Per le carni qui surta contesa,
un uomo l’uccise di ferro.


III


Strofe

Di grave dolore percosso fu il cuore dei Delfi ospitali.
Ma si compieva la sorte fissata:
ché alcun degli Eàcidi possenti doveva
nel bosco antichissimo, giacendo vicino
ai solidi muri del tempio del Nume, presieder le pompe
eroiche, e le vittime opime, secondo
l’augurio di retta giustizia. Tre bastano
parole: ora è teste dell’opre veridico. O Egina, pei tuoi,
pei figli di Giove asserire posso io con baldanza


Antistrofe

che dalle lor case si parte una strada maestra di fulgide
glorie. Ma è dolce riposo in ogni opera.
Perfino del miele, perfino dei fiori