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148 | LE ODI DI PINDARO |
Di qui la gloria degli Eàcidi, discendenti di Giove. Ed ora cantiamo Aristoclide, che ha onorato Egina e il santuario che quivi sorge ad Apollo (il Teario), cimentandosi nella prova che mostra il valore di ciascuno (67-80).
Il poeta invia ad Aristoclide l’inno, paragonandolo ad una tazza di latte temprato col miele. Veramente, soggiunge, arriva un po’ in ritardo: ma vale piú un inno di Pindaro in ritardo che quelli degli altri in tempo opportuno (80-88)». —
Le Gesta del v. 6 sono, al solito, persone; e quindi possono aver sete. L’inno è il farmaco che lenisce le percosse toccate nel pancrazio (17). Il canto è come una nave, e il cuore, l’animo del poeta, è il pilota (27-29). L’ inno è una freccia, e mèta la gara cantata (68-70). Notevole è, nel verso 80 sg., la confusione delle immagini, per cui il canto, divenuto, con metafora abituale, bevanda, pur cosí trasformato, è circonfuso dai suoni del flauto. Il concetto sul valore del sapere insito, esposto ai v. 41 sg., è il medesimo espresso, con tanto maggiore virtú plastica, nella Olimpia II verso 103 sg.; dove anche si trova il paragone con l’aquila, che qui appare al verso 83.
Nel complesso, questa ode è fra le belle di Pindaro. E qui primamente vediamo che le glorie eginetiche, pur tanto da lui magnificate, abbiano veramente accesa la fantasia di Pindaro. Qui l’idea è veramente trasformata in fantasma. La giovinezza eroica d’Achille è tra le piú meravigliose pitture della poesia d’ogni tempo.
E l’accenno alla educazione di Chirone, diretta a preparare il giovine alla fatale impresa di Troia, die’ certo ispirazione alla famosa ode del nostro Parini.