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La data di questa ode riesce stabilita, come già da un pezzo osservarono i commentatori, dal suo contenuto. La somiglianza della condotta, dell’ispirazione, dei pensieri e delle espressioni la collocano naturalmente accanto alle grandi odi siciliane — quelle per Ierone, Terone, Cromio. Sarà, su per giú, del 475 a. C. —

«Oh Musa — dice Pindaro — vieni ad Egina, dove, sulle rive dell’Asopo, t’aspettano i giovani che devono cantare l’inno per Aristoclide: e dàmmi ispirazione, sí che io mesca degnamente il mio inno alla loro voce: cioè possa inviare ad essi un inno degno delle loro voci (1-12).

Grato ufficio è cantare la terra dei Mirmidoni, dei quali si mostrò ora ben degno Aristoclide, con la sua vittoria, che gli fece toccare il vertice supremo, le colonne d’Eracle della felicità umana. — Accenni ai viaggi d’Eracle (13-27).

Ma non si deve adesso cantare Eracle, che non è d’Egina. Sentir cantare le lodi degli altri non è proprio un gran piacere; e in Egina abbiamo sufficiente materia di canto: Peleo, che tagliò sul Pelio l’immane lancia onde poi fu armato Achille, prese da solo Iolco, conquistò Tetide; Telamone che, insieme con Iolao, cioè con Eracle, espugnò Troia e debellò le Amazzoni; Achille, che, sin da giovinetto, compieva prodigiosi eroismi, e poi, ammaestrato da Chirone, affrontò sotto Troia i Dardani, i Lici, i Frigi, gli Etiopi (28-67).