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132 | LE ODI DI PINDARO |
III
di lui, che l’intreccio dei serti mandò da l’agone
Cleonio, e dal fertile suolo
d’Atene fulgente;
e in Tebe l’eptàpila, pronte
le genti Cadmèe, d’Anfitríone vicino alla tomba
fulgente di fiori, lo cinsero, a gloria
d’Egina: ché amico giungendo ad amici,
all’ospite rocca
pervenne, alla reggia beata d’Alcide.
IV
D’Alcide, con cui Telamóne distrusse una volta
le mura di Troia, ed i Mèropi,
e Alcíone, l’immane,
l’orrendo flagello di guerra,
non senza ch’ei pria con un masso ben dodici cocchi
e due volte tanti guerrieri prostrasse,
che su vi pugnavano. Di guerre inesperto
bene è chi stupisce
di ciò: ché chi offende sovente anche è offeso.
V
Ma il freno dell’arte mi vieta ch’io dica piú a lungo,
e l’ore m’incalzano: e il cuore
mi strugge desio
ch’io dica la luna novella.