Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
124 | LE ODI DI PINDARO |
prodezza agl’ignari: com’ei la pianura di Misia
ferace di vini
col negro stillante di Tèlefo sangue bagnò,
VI
e agli Atrídi gittò del ritorno
il ponte, ed Elèna redense,
fiaccando con l’asta le forze che lui respingean da la strage
di guerra, quand’egli
nel piano istruiva la zuffa,
e Mènnone, ed Ettore saldo, e ogni altro piú valido.
Ad essi la strada
mostrò di Persèfone Achille, l’Eàcide
pilastro, d’onore coprendo Egina e il suo ceppo. Né morto
lui tacquero i canti; ma presso al suo rogo,
ma presso al sepolcro, le vergini cantâr d’Elicona, e levarono
il lugubre canto di gloria: ché vollero i Superi
anch’essi il gagliardo
mortale, anche spento, ai cantici dar delle Muse.
VII
E ancor vige il costume: onde già
già lanciano il cocchio le Muse,
a dire del pugile Nícocle la gloria. Cantatelo! Presso
la valle de l’Istmo
fu cinto da l’apïo dorico;
e vinse i finitimi prodi, pur egli premendoli
col braccio invincibile.
Né macchia la fama che nacque dal suo