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ODE ISTMIA VIII | 123 |
IV
come udiron l’oracolo. Tèmide,
accorta al consiglio, a lor disse
che un pargolo avrebbe la Diva del pelago dato alla luce
piú forte del padre;
che un dardo piú fiero del folgore
avrebbe scagliato, e invincibile piú del tridente,
se a Giove o ai fratelli
di Giove ella univasi d’amore. «Su via,
cessate! Essa il talamo ascenda d’un uomo mortale; ed in guerra
cader veda Achille, suo figlio, che simile
a Marte per forza di mano sarà, per il piede a la folgore.
Se udir mi volete, sia sposa, sia premio divino
a Pèleo, che, dicono,
è l’uomo piú pio che dimori nei campi di Iolco.
V
Vadan súbito dunque i messaggi
all’antro immortal di Chirone;
né piú sfogli il fior di contesa fra noi la figliuola di Nèreo;
ma nel plenilunio,
calando già vespro, disciolga
l’amabile fren delle vergini sue membra all’eroe».
Cosí favellò
la Diva ai Cronídi. Chinarono quelli
le ciglia immortali, assentirono. Né il frutto marcí di quei detti;
ma dicon che i Numi concesser le nozze
di Tètide; e il labbro dei vati cantò poi d’Achille la giovine