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ODE ISTMIA VI 107




Antistrofe

Or, quando a chiamare Telàmone ei giunse,
per gir su le navi, lo colse a banchetto.
Avvolto nel vello leonino s’ergeva il figliuol d’Anfitríone
possente; e Telàmone gli porse una coppa
di vino, di guizzi tutti aurei
corrusca; e gli chiese che desse principio ai nettarei libami.
Cosí favellò: «Padre Giove, se mai
con alma benevola udisti i miei voti,


Epodo

con fervida prece ti supplico adesso,
che nasca a quest’uomo da Eribia un figliuolo
audace; e sia questo per lui mio dono ospitale.
E indomita sia la sua tempra, com’è questo vello di fiera
che i fianchi mi cinge —
In Neme lo vinsi; e fu questa la prima di tutte mie gesta — ;
e pari sia l’anima». Disse. E l’aquila, il re degli aligeri
il Nume del cielo spedí. Soave piacere lo punse;


III


Strofe

e disse, parlando sí come profeta:
«Il figlio che brami, Telàmone, avrai:
e prendi il suo nome dall’aquila compàrsati: chiamalo Aiace:
sarà re possente, tremendo nel cozzo
di guerra». Ciò disse, e sedette.