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Ierone vinse ad Olimpia tre volte: nel 476, nel 472, nel 468. Gli scoliasti attribuiscono questa ode al 476. Gaspar osserva giustamente che la data è in qualche modo confermata dal contenuto dell’ode, dove non si ricordano né antecedenti vittorie olimpiche, né i due fatti piú gloriosi del regno di Ierone: la fondazione d’Etna (476) e la battaglia di Cuma (474). Recente era dunque la signoria di Ierone. E il tono lieto dell’ode sembra indicare che fossero ancora lontani i malumori col fratello Polizelo. Cominciava intanto il periodo piú fulgido della sua signoria; e la sua corte era il convegno dei piú eletti ingegni di Grecia: Epicarmo, Formide, Simonide, Bacchilide, Eschilo; e v’era giunto oramai anche Pindaro (v. 17).
Lo schema dell’ode è il seguente. Come l’acqua è il primo degli elementi, e l’oro la piú preziosa delle ricchezze, cosí il piú celebre degli agoni è quello d’Olimpia. Da Olimpia i poeti traggono ispirazione a cantar Giove nella reggia di Ierone, re di Siracusa, che vinse col cavallo Ferenico, la cui gloria adesso brilla ne la stanza del lidio Pelope — cioè Olimpia (1-26). Cosí il poeta s’apre la via al mito di Pelope, la cui narrazione giunge sino al verso 108. L’ultima parte (109-128) comprende le solite riflessioni generiche. Ierone è il piú possente e il piú virtuoso dei mortali. I Numi manten-