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X PREFAZIONE


Sicché, in linea generale, si può dire che ognuno dei vari tipi di composizione accogliesse certi motivi poetici, respingesse certi altri.

Cosí negli epinicî vediamo un poeta di accento sempre sublime e profetico, che, assorto nella contemplazione dei miti meravigliosi e nella meditazione delle arcane leggi che reggono le sorti umane, quasi sdegna di volgere gli occhi sul mondo, tanto minore, che lo circonda, e neanche indugia troppo dinanzi all’affascinante spettacolo delle bellezze naturali.

Ma questi tratti del genio di Pindaro non sono assoluti, bensí contingenti agli epinicî. Se volgiamo lo sguardo ai bellissimi frammenti, ecco mirabili descrizioni di scene naturali: la primavera in Atene (vol. II, 241), l’eclissi di sole (pag. 230), l’oro e la luce dei favolosi giardini dei Beati (pag. 280), l’apocalittico crosciare dei fiumi entro oscurità impenetrabili (pag. id.). Ecco, nei partenî, accenti di tenuità e gentilezza squisita (pag. 256). E i colori agresti (pag. 259); e l’umorismo (framm. XLVIII pag. 297); e nel brano per le etère di Corinto, una certa faceta galanteria, della quale il poeta stesso si meraviglia (pag. 271); e, in quello per Teòsseno (pag. 272), un ardore erotico che ricorda le poesie d’Ibico. Tutte queste corde vibravano dunque nella lira di Pindaro, tutte queste voci suonavano nella sua poesia, ed ora sono per noi fioche o quasi mute. E pur converrebbe che potessimo udirle distinte e spiegate, per intendere e godere la piena armonia della sua lirica.

Anzi, fu osservato da piú d’uno che i frammenti, pur cosí mutili, ci svelino un Pindaro piú grande di quello degli epinicî. Ma qui bisogna guardarci da una illusione. Quei frammenti sono in genere brani scelti: sono il fiore delle composizioni a cui appartenevano. Se raccogliamo i brani piú belli degli epinicî, formiamo un complesso non meno mirabile e brillante. E, d’altra parte, i peani, che abbiamo da poco ri-