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48 | LE ODI DI PINDARO |
Comunque, Pindaro asserisce che i Dioscuri proteggono e proteggeranno sempre Terone, perché egli è piú che ogni altro mortale largo di simili imbandigioni (40).
Del resto, Terone era stretto da certa affinità coi Dioscuri, fratelli dell’Argiva Elena, perché dal lato materno discendeva da un re argivo, Adrasto. E infatti, i Dioscuri riscotevano culto speciale in Agrigento.
Parlando dei Dioscuri, Pindaro aveva buon giuoco a parlare d’Olimpia. Eracle, allorché ascese all’Olimpo, aveva affidata ai Dioscuri la cura dei giuochi da lui fondati; e un altare dedicato ad essi sorgeva all’entrata dell’Ippodromo d’Olimpia. Cosí, naturalmente, Pindaro passa da loro a un mito dei primi tempi dei giuochi, col quale è connesso il dilettissimo Eracle.
Questo eroe, una volta, inseguendo, per ordine d’Euristeo, la cerva dalle corna d’oro, giunse agli Iperborei, e vide l’oleastro, ignoto alla Grecia. Quando poi ebbe fondati nell’Elide, su l’Alfeo, i giuochi olimpî, s’avvide che il terreno delle gare era troppo brullo e troppo esposto al sole. Ripensò all’oleastro, tornò agli Iperborei, e li persuase a donargli quella pianta, che desse ombre alla folla, ghirlande ai vincitori. Ché i trionfatori d’Olimpia venivano appunto coronati con ulivo selvaggio. E del giudizio dei giuochi era incaricato un uomo d’Etolia — cioè uno degli Elei che Pindaro chiama Etoli perché l’etolo Oxilo ebbe l’Elide in dono dagli Eraclidi.
Pindaro considera questo suo canto come una statua, un ricordo marmoreo: e in questo senso parla di innalzarlo. — Il Dorio calzare (v. 5) è, naturalmente, il ritmo, e, sia pure, il ritmo incarnato in note: e in questa forma deve entrare la materia plastica, la voce. La metafora è strana: tuttavia credo che con piena indipendenza il Gautier scrivesse: