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218 LE ODI DI PINDARO


Due velocissimi giunsero dai piedi dell’Alpe di Pange,
Zeto e Calàide, dal dorso tutto ispido d’ali di porpora:
ché Bòrea, signore dei venti, lor padre, con ilare cuore
sollecito, d’armi li cinse.
Ed Era nel petto agli eroi desire dolcissimo infuse


IX


Strofe

d’Argo, ché niuno restasse solingo in disparte,
presso la madre, a smaltire lontan dai perigli la vita;
ma, pure a prezzo di morte, cercasse un bellissimo farmaco
l’ansia di gloria a lenire. Or, poi che tal fiore di nauti
scesero a Jolco, Giasone accolse ciascuno con laude.
E con augurî, Mopso profeta, con sacri responsi
vaticinando, la schiera fe’ lieta salir su la nave.
E poi che sui rostri fu l’ancora issata,


Antistrofe

sovra la poppa Giasone, levando una tazza
d’oro, invocò degli Urànidi il re che lontano saetta,
e dei marosi e dei venti le rapide posse, e le notti,
e le bonacce, ed i valichi marini, ed il fausto ritorno.
Giú da le nubi rispose rombando la voce del tuono,
giú da la folgore franta scoscese un barbaglio di raggi.
Trassero, ai segni propizi del Nume, profondo respiro
gli Eroi. Quindi l’ordine die’ ad essi il profeta


Epodo

che remigassero. Dolce speranza nei cuori s’infuse,
senza fastidio si tesero le palme veloci al remeggio.