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216 LE ODI DI PINDARO




VII


Strofe

«piú che giustizia, le menti degli uomini pronte
«sono a lodar frodolento guadagno, sebben della crapula
«triste è il dimani. Ma io, ma tu, meglio val che, deposta
«l’ira, tessiamo un futuro felice. Favello a chi sa:
«Crèteo, Salmòneo superbo da sola una madre ebber vita;
«noi, per tre evi discesi da quelli, miriamo la possa,
«l’oro del sole. Via fuggono le Parche a nascondere l’onta,
«se scoppiano liti fra genti cognate.


Antistrofe

«Non ci conviene spartire coi brandi di bronzo
«né con le lance l’immenso retaggio dei nostri maggiori.
«Dunque, le greggi e le fulvide mandre dei bovi io ti lascio;
«tutte le terre ti lascio, che ai miei genitori predate,
«ari, ed impingui il tesoro: che crescea per ciò la tua casa,
«grave non m’è. Ma lo scettro regale, ma il trono ove al popolo
«dei cavalieri impartiva giustizia il figliuolo di Crete,
«tu rendimi, ed èvita un pubblico scempio,


Epodo

«èvita nuove sciagure che apprestino a noi tali eventi».
Disse Giasone. Tranquillo pure esso, a lui Pelia rispose:
«Qual mi bramate sarò. Ma su me di vecchiaia già volgonsi
«gli anni: a te schiudesi turgido il fior della vita. Tu puoi