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210 | LE ODI DI PINDARO |
Epodo
«essi, lasciato il guizzante delfin pei corsieri veloci,
«e per le redini i remi, i cocchi dai pie’ di procella
«governeranno; e metropoli di grandi città sarà Tera,
«come l’augurio predisse che un dí, su la foce tritonia,
«Eufèmo, disceso da prora, accolse da un Nume, che d’uomo
«aveva sembianza: gli offerse
«un dono ospitale di terra; e un tuono di Giove rombò.
II
Strofe
«Giunse che sopra la nave già stavano issando
«l’àncora dente di bronzo, la redine d’Argo veloce:
«— ché per i miei consigli, lasciato l’Ocèano, sul dorso
«delle deserte contrade, per dodici giorni la nave
«tratta avevamo — : in quel punto il Dèmone apparve soletto.
«D’uom venerabile assunta aveva la bella parvenza;
«e cominciò con parole soavi, sí come i gentili,
«che gli ospiti invitano da prima al lor desco.
Antistrofe
«Ma ci contese il pretesto del dolce ritorno
«quivi indugiare. Ei ci disse ch’Eurípilo egli era, figliuolo
«d’Enosigèo sempiterno. Ci vide solleciti; e súbito,
«tolto qual prima alla destra gli occorse presente ospitale,
«porse una zolla. Né stette Eufèmo: balzò su la spiaggia,