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ODE PITIA IV | 207 |
l’arte del poeta (297-99); il quale aveva a sua volta ammirate le sue belle qualità. Or qui Pindaro prega Arcesilao di perdonare all’esiliato.
E attacca il discorso con un enigma. — Ti soccorra l’arte d’Edipo. Una quercia, anche sbarbicata e trascinata lungi dal suolo natio, dimostra la virtú nativa, sia sostenendo, come colonna, un edificio, sia porgendo calore nel verno. Cosí Demòfilo dimostrò il suo pregio anche in Tebe: onde ora intercede per lui un ben degno araldo, Pindaro (277-278). Ed Arcesilao giunge medico opportuno (parrebbe dunque che non avesse egli bandito Demòfilo) per placare le discordie civili. Demòfilo, lontano dalla sua patria, vede sperdersi vanamente le sue grandi doti: è Atlante oppresso dal cielo; e implora di poter tornare in patria. Arcesilao oramai gli perdoni: anche Giove perdonò ai Titani.
Rimangono da chiarire alcuni particolari.
Verso 4. La donna che siede presso l’aquile di Giove è la sacerdotessa delfica: due aquile, lanciate a volo da Giove dagli estremi due limiti dell’universo, s’incontrarono appunto in Delfi, che da questo incontro venne designato e denominato ombelico, ossia centro del mondo.
Verso 13. La figlia d’Epafo è la ninfa di Libia, identificata, al solito, con la terra ch’essa protegge: e qui si dice che, grazie a Tera, essa Libia vedrà crescere in sé Cirene, la radice di altre città popolose.
Verso 215. La torquilla (la ῒυγξ del testo è la lynx torquilla, il torcicollo) serviva ad incantazioni amorose. Si legava per le due ali e le due zampe ad una ruota a quattro raggi: si faceva girare la ruota: dai movimenti, pare, e dalle grida della povera bestia, si arguiva su problemi amorosi. Medea, a quel che dice Pindaro, usò prima questo incantesimo.
Verso 219. Si notino le due personificazioni di Desio