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In questa ode che è la piú antica delle tre cirenaiche (fu composta nel 474), si espongono i miti piú remoti di quella terra. Il primo di essi riguarda la primissima origine di Cirene.

In Tessaglia, il fiero paese dalle eccelse montagne, una Naiade, Creusa, è amata dal fiume Penèo, e genera Issèo, re dei Lapiti, i prodi e feroci antichissimi abitatori della Tessaglia. Da Issèo nasce la fanciulla Cirene, che spregia le opere femminili, e trascorre la vita cacciando fiere. Apollo ne invaghisce, scende sul Pelio, e, sorpresala mentre lottava, senz’arme, con un leone, la rapisce, e la reca, su un cocchio d’oro, nella costa settentrionale dell’Africa, sacra alla ninfa Libia. Afrodite accoglie i due amanti, e Libia dona a Cirene una parte del suolo ferace di alberi e di fiere (un’oasi), che rimanga per sempre suo retaggio. Da Cirene nasce un figlio bellissimo, Aristèo, che viene adorato come Nume; e Numi tutelari della città rimangono sempre egli e sua madre Cirene. Col tempo arrivano poi gl’isolani di Tera, guidati da Batto, e si ragunano sopra un colle circondato da piani. E comincia il glorioso periodo dei Battíadi, che, mentre Pindaro cantava, toccava il suo fiore.

Un’altra leggenda riguarda la stirpe di Telesícrate. Un signore di Libia, Anteo, re di Nomadi, che dimorava nella città d’Irasa, provò nella corsa i pretendenti di sua figlia, come aveva già fatto Danao, che con uno spediente analogo