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188 LE ODI DI PINDARO


detto l’oppressore (χαλεπός) aveva tendenze tiranniche; donde lotte coi fratelli, da uno dei quali, sembra, fu ucciso. Batto III era zoppo e deforme; e, un po’ per questo, uno po', certo, per sue deficienze intellettuali, i Cirenesi invitarono uno straniero, Demonace, a riordinare la costituzione, lasciando al re solo pochi privilegi. Arcesilao III, procacciatisi aiuti in Samo, tornò a Cirene, e recuperò i privilegi regali, vendicandosi crudelmente dei suoi nemici: onde anch’egli finí di morte violenta. Di Batto IV sappiamo solo che fu detto il bello. E giungiamo cosí ad Arcesilao IV, quello cantato da Pindaro, del quale sappiamo poco piú di quanto si può ricavare dal poeta. Vediamo che, anche sotto il suo regno, sebbene, parrebbe, non per sua diretta imposizione, spesseggiavano gli esilî: né doverono mancare torbidi e congiure.

E tutto insieme, questi Battíadi, come non furono personalmente troppo favoriti dai Numi (uno era balbuziente, uno zoppo), cosí non appaiono troppo degni degli elogi che largisce ad essi Pindaro. Sembrano piuttosto avventurieri cupidi, e non troppo innamorati della Giustizia tanto esaltata dal poeta di Tebe. Ma, senza dubbio, il loro regno ebbe periodi di grandissima floridità, grazie alle terre conquistate, la cui ubertà viene concordemente magnificata dagli scrittori antichi, e grazie al commercio che allacciarono fra i paesi interni dell’Africa e le coste.

Forse a questa floridità si deve l’ispirazione che sostenne Pindaro nel cantare i loro elogi. Ma, comunque sia di ciò, dopo il gruppo delle siciliane, questo delle cirenaiche è certo il piú mirabile. E la IV pitica è forse il capolavoro del poeta di Tebe.