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146 | LE ODI DI PINDARO |
V
Strofe
e i Numi ospitarono a mensa,
e videro i regi, figliuoli di Crono, negli aurei troni,
e n’ebbero doni; e per grazia
di Giove, mutati gli antichi travagli,
il cuore tornarono in pace. E poi, nuovo tempo trascorso,
a Cadmo rapiron tre figlie, piombate in orrende sciagure,
gran parte del viver beato — ma Giove nel letto
amabile ascese di Sèmele dall’omero bianco;
Antistrofe
e il figlio dell’altro, che in Ftia
a luce diede unico Tètide, trafitto dagli archi in battaglia,
lo spirto esalato, sfacendosi
sul rogo, alto l’ululo dei Dànai eccitò.
Se alcuno ricetta nell’animo del vero la via, quando i Dèmoni
gli porgono un bene, lo gode. Or qua, or là spirano gli aliti
dei venti precipiti. A lungo non dura fortuna
per gli uomini, quando soverchia sovra essi s’abbatte.
Epodo
Sarò negli eventi modesti modesto: solenne
sarò nei solenni, onorando
il Nume che il sen mi precinge con l’arte ch’io so.
Se un Dio mi largisse gran beni,
trovare alta gloria saprei pel futuro.
Le gesta del Licio Sarpèdone, le gesta di Nestore, eroi
famosi fra gli uomini, note ci sono pei carmi sonori
che artefici sommi composero. A lungo prodezza fiorisce
nei celebri canti; ma pochi di celebri canti son degni.