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PREFAZIONE XIX

ticolari visivi, propria anch’essa piú della pittura che della poesia. Nella qual ricchezza, del resto, sotto la speciale predilezione di Pindaro, si nasconde l’ebbrezza, prepria d’ogni poesia primitiva, e traboccante nei poemi omerici, di riprodurre i fenomeni in giri di parole che per la musica loro virtú evocatrice, li facciano riapparire all’occhio dell’anima non meno evidenti di come appariscano agli occhi corporei. Ed anche a noi reca tuttora un sottil diletto veder riprodotti in belle perifrasi gli eleganti vasi ceramici offerti in premio ai vincitori (N. X. 44), o l’imboccatura d’un flauto, da cui la voce zampilla (P. XII. 25):

Sgorga essa dei balli compagna fedel, fra la tenüe lamina
di rame, e la canna che cresce nei prati cui bagna il Cefiso.

Non seguirò oltre questa ricerca, che ogni lettore potrà compiere per proprio conto, leggendo direttamente le odi. Ma non sarà superfluo richiamar l’attenzione sopra alcuni brani, i quali, piú che da una originale visione pittorica o plastica, sembrano ispirati dal modello di pitture o statue che il poeta aveva sempre sott’occhio. Cosí la prediletta disposizione di due parti della medesima scena l’una di contro all’altra, come nelle due ali d’un frontone: p. e., nella IV Pitia, l’arrivo di Pelia contrapposto a quello di Giasone.

E possiamo giungere a piú minuti raffronti. Quando Tritone sorprende gli Argonauti già sulla nave, pronti a salpare, offre una zolla ad Eufemo. E l’eroe (P., IV, 36):

balzò sulla spiaggia,
tese la mano alla mano, prese la zolla divina.

Quando Apollo conduce la vergine Cirene dal Pelio in Libia (P., IX, 9):