Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
ODE PITIA III | 143 |
nel male dal Dèmone infesto, fu spenta: e il suo morbo s’apprese
a molti vicini, e perirono. Cosí sopra un’alpe
incende gran selva la fiamma sprizzata da un germe.
Epodo
Ma poi che i parenti sul mucchio di legna deposero
la figlia, ed intorno guizzava
la vampa rapace d’Efèsto, ecco Apolline disse:
«Non mai patirò che il mio germe
soccomba pel misero destin de la madre».
Parlò; d’un sol passo lí giunse; rapí dal morto alvo il fanciullo;
e il rogo dinanzi al Signore dischiuse le fiamme. — E lo addusse,
lo diede a Chirone, al magnesio Centauro, che sperto il rendesse
i morbi a sanare che ambasciano con vario tormento i mortali.
III
Strofe
E quanti giungevano afflitti
d’ingenite piaghe, o trafitti da lucido bronzo le membra,
o dall’avventar di macigni,
o sfatti dall’alido estivo, o dal gelo,
mandava disciolti dai varî travagli, di blandi scongiuri
cingendo talun, beverato quell’altro di miti pozioni,
o tutte di farmachi succhi fasciando le membra;
ed altri rimisene in piedi con abili tagli.