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142 | LE ODI DI PINDARO |
Epodo
in grembo recava del Nume purissimo un germe.
Attender non seppe il convivio
di nozze, né il vario concento degl’inni d’Imene,
cui godon le vergini amiche
levare, con molle blandizie, nel vespero;
ma il cuore sviò dietro cose remote: che a molti pur segue.
Poiché c’è fra gli uomini certa stoltissima razza, che schifa
le patrïe cose, e all’estranie rivolge bramoso lo sguardo,
con irrita speme sviandosi dietro fantasime vane.
II
Strofe
Sí grave sciagura puní
l’audace Corònide peplo leggiadro. — D’un ospite giunto
d’Arcadia essa il talamo ascese.
Né all’occhio del Nume sfuggí. Soggiornava
in Pito opulenta di vittime il Dio dagli ambigui responsi,
e n’ebbe contezza: gliel disse, ben fido ministro, il suo cuore
che tutto conosce, e menzogna nol tange, né inganno
può tendergli Nume né uomo, né in detti, né in opere.
Antistrofe
E d’Ische, del figlio d’Elàto
saputo l’adultero talamo e l’empia frode, mandò
Artèmide, ardente d’indomito
furore, a Laceria: ché qui, su le ripe
Bebíadi, aveva sua stanza la femmina. Or questa, sospinta