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138 | LE ODI DI PINDARO |
e saettò la fanciulla, che fu spenta con una morte il cui contagio sterminò poi molta altra gente. I genitori la posero sul rogo: ma prima che il cadavere fosse distrutto, Apollo rapì dal morto alvo materno il bambino, e lo affidò a Chirone, che lo rendesse sperto nell’arte medica. E Asclepio divenne il piú grande dei medici. Ma una volta, lusingato dal lucro, resuscitò un cadavere. Onde Giove, mal tollerando che fossero violate le leggi di natura, incenerí col fulmine lui e il resuscitato: ammonimento agli uomini che si tengano nei limiti a loro segnati.(v. 9-68).
A questo punto, con effetto musicale bellissimo, Pindaro riprende il tèma iniziale. «Se fosse tuttora vivo Chirone, io lo pregherei di mandare a me o il figlio d’Apollo, Asclepio, o il figlio di Giove, Apolline stesso. Ché se io potessi giungere a Siracusa recando a Ierone la salute e l’epinicio per Ferenico, gli sembrerei piú luminoso d’un astro del cielo. Ad ogni modo, pregherò la madre Rea che ha il santuario di Tebe, vicino alla mia casa» (v. 69-87).
Consolazioni a Ierone. — Gli antichi dissero che i Numi concedono un bene vicino a due mali. I buoni badano solo al bene. Ierone ha molte felicità: abbia pazienza se la salute non l’assiste. Anche Peleo e Cadmo, che passano per i piú felici degli uomini, trascorsero la vita tra un fluttuare di beni e di mali. Sposarono due dive: quegli Tetide, questi Armonia; e furono ospitati in Olimpo. Ma Cadmo vide piombare in tragicissime sciagure tre delle sue figlie, Ino, Agave, Semele. Però quest’ultima fu amata da Giove (e tale amore fu come un risarcimento); e Peleo vide morire Achille. La sorte dei mortali è variabile (v. 87-115).
Se Pindaro avesse ricchezze, saprebbe usarle in modo da rimanere famoso. Famosi rimangono gli uomini quando son cantati da sommi poeti; ma pochi son degni dei canti dei sommi poeti (v. 116-126). —