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Questa ode non ha carattere d’epinicio: agli agoni c’è un brevissimo accenno al v. 80-81, e poi si parla di tutt’altro. È una poesia molto solenne e ispirata, per augurare la guarigione di Ierone malato. Non si può dire con precisione a quale epoca appartenga. Certo, dopo che Ierone aveva assunto il titolo di re: certo, ad onta delle osservazioni del Gaspar, dopo la fondazione d’Etna, poiché Ierone è chiamato ospite etneo. È inutile, al solito, accanirsi troppo, quando mancano elementi di fatto per giungere a conclusioni inoppugnabili. Certo, nella complessa armonia delle odi siciliane, questa trova il suo giusto punto nell’ultima parte. Accorata e fosca qual’è, nella ineffabile sua bellezza, sembra riflettere il tramonto, pur luminoso, di quella giornata fulgidissima e breve.
Il piano è di semplicità e purezza immacolate.
Vorrei, dice Pindaro, che vivesse tuttora il Centauro Chirone, il semidio benevolo agli uomini: egli era maestro anche di medicina, e, tra altri, educò Asclepio (v. 1-8).
Mito d’Asclepio. — Corònide, figlia di Flegias, signore di Laceria, presso la palude Bebiade, in Tessaglia, fu amata da Apollo, e concepí Asclepio. Ma prima che il pargoletto venisse a luce, s’innamorò d’Ische, figlio d’Elato, giunto dall’Arcadia in casa di suo padre; e fu sua. Apolline si trovava lontano, in Pito. Ma niente sfugge ad Apollo; e mandò a far le sue vendette la sorella Artemide. Questa si recò a Laceria,