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132 | LE ODI DI PINDARO |
Epodo
Or, quando Víamo il frutto spiccò d’Ebe, amabile Diva
ch’à d’oro il serto, disceso di notte, fulgendo le stelle,
in mezzo all’Alfeo, l’avo suo Posídone e il vigile arciero
di Delo divina invocò, chiedendo per sé tale onore
che fosse al suo popol proficuo. Di contro suonò la parola
del padre veridica, e disse: «Su, figlio, incamminati dietro
al suon di mia voce, a una terra famosa per pubblici ludi».
IV
Strofe
All’arduo pervennero eccelso dirupo del Cronïo, dove
di scienza profetica un duplice
tesoro gli diede: di súbito udire
ignara del falso una voce; e quando fosse Eracle giunto,
l’audace divin degli Alcidi rampollo, a fondare la festa
di popol frequente, e la norma solenne dei ludi, gl’impose
che presso l’altare sublime del padre fondasse un oracolo.
Antistrofe
Però gli Iamidi famosi ne l’Ellade sono. E Fortuna
li segue, mentre essi, onorando
virtú, sopra tramite di luce procedono. —
Giudizio a ciascuno è il cimento; pur biasimo gittano gl’invidi
su chi primo il cocchio sospinse nei dodici giri, e le Grazie
su lui di bellezza profusero fulgor. Ma se gli avoli tuoi
materni, che furono, o Agesia, signori dell’alpe cillenia,