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130 | LE ODI DI PINDARO |
Epodo
Sette fumavano roghi di spenti guerrieri; ed Adrasto
disse, al cospetto di Tebe: «Dei miei guerrïer la pupilla
piango io: ben verace profeta, ben valida lancia di guerra».
E questo conviene ripetere per l’uomo ch’è re del mio carme.
Di tanto sono io testimone. Non io vago sono di liti,
non bramo contese; ma pure di ciò presto giuro solenne,
palese; ed a me lo concedono le Muse che miele han sui labbri.
II
Strofe
O Fíntide, in fretta ora aggioga la forza per me delle mule,
sí ch’io, sovra tramite sgombro
spingendo il mio cocchio, pervenga alla stirpe
remota d’Agèsia. Piú ch’altre sanno esse varcar quella via,
poiché guadagnarono i serti d’Olimpia. Dischiudere ad esse
le porte si devon degl’inni: ché presso Pitàne, lunghesse
le rive d’Eurota, quest’oggi conviene si giunga per tempo.
Antistrofe
Pitàne, che, narrano, amata dal Cronio signore del pelago,
die’ vita alla parvola Evadne
dai riccioli azzurri. — La doglia materna
nel peplo ascondeva; e, venuto il mese fatale, spedí
per man de le ancelle la pargola ad Àpito, figlio d’Elàto,
degli Arcadi re, che abitava Fesàna, lunghesso l’Alfeo.
Qui crebbe; e per opra d’Apollo pria seppe l’incanto d’amore.