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126 LE ODI DI PINDARO


Apollo, generò Víamo, e lo abbandonò sotto una macchia. Apito, che intanto era andato a Delfo a consultare l’oracolo, tornò con la notizia che il pargolo era figlio d’Apollo. Ma il pargolo non c’era piú. Lo cercarono, e lo trovarono sotto una macchia, dove da cinque giorni lo nutrivano miracolosamente due dragoni. Lo coprivano viole: e da esse derivò il suo nome. Quando fu cresciuto, Viamo ebbe dall’avolo Posidone e dal padre Apollo un duplice dono attinente all’arte profetica: di udir subito il futuro da una voce veritiera; e il diritto, quando Eracle avesse fondato i giuochi in Olimpia, di stabilire qui un oracolo. Da questo Viamo discesero gli Iamidi, famosi in tutta l’Ellade (v. 29-70).

Lodi ed auguri per gli Iamidi. — Essi hanno trionfato nel cimento, quindi si sono attirate molte invidie. Ma li protegge Ermete, signore d’Arcadia, al quale sul monte Cillene i loro avi materni fecero tanti sacrifizi. Anche Mètopa, avola di Pindaro, era nata a Stínfalo, sotto il monte Cillene (v. 74-86).

Esortazioni ad Enea (il corifeo?), che inviti i coreuti a sbugiardare col canto il vecchio vituperio che si rivolgeva ai Beoti d’essere stupidi, e a cantare Era partenia, Ortigia e Ierone. E Ierone accolga di buon animo quest’inno (v. 86-97), che giunge ad Agesia dalla sua vecchia patria, l’Arcadia, alla nuova, Siracusa. Bene che in tempi burrascosi ne abbia due.

Invocazione a Posidone (v. 102-104).

Come nella Pitia VI (v. 15) ad un tesoro che mostra al sole la sua facciata, cosí qui l’inno è paragonato ad una reggia: il suo principio è come l’ordine di colonne che sta sul davanti (v. 1-4). — Come noi diciamo: trovarsi in questi panni, i Greci dicevano: avere il piede in questo calzare. — L’idea di lanciarsi con le mule per attraversare, oltre che lo spazio, anche il tempo (v. 22 sg.) è strana: di gusto discu-