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118 | LE ODI DI PINDARO |
tant’uomo, non essere m’auguro
come colui che, rotando
bronzëo dardo, lo vibra
fuor dell’agone; ma lunge piú che i rivali scagliarlo.
Possa ogni giorno donargli successi felici, gran copia di beni,
oblio delle pene gli arrechi,
Antistrofe
e gli rammenti che prove di guerra ei sostenne,
animo intrepido, quando
s’ebber dai Superi onore qual mai niun fra gli uomini d’Ellade
falciò, degno serto a ricchezza.
Ora, dove’ careggiarlo,
scodinzolargli dinanzi,
tal ch’era già tracotante: ch’egli emulò Filottete
partecipando l’agone. Raccontan che un giorno gli Eroi Seminumi
l'arciero figliuol di Peante
Epodo
d’ulcera immane consunto cercarono; ed egli di Priamo
strusse la rocca, ed a fine condusse il travaglio dei Dànai,
pure egre movendo le membra: ché quello era il fato.
Oh, il Dio nel futuro a Ierone sia fausto, e maturi
l’ora opportuna a sue brame.
Musa! Ed ancora ti piaccia cantare a Dinòmene il premio
pel cocchio dei quattro cavalli: non è la vittoria del padre
gaudio straniero: su, l’inno troviamo ch’ esalti il re d’Etna.