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112 LE ODI DI PINDARO

dere Troia, doverono andarlo a ricercare, a pregare; e solo quando egli, malato, andò, la rocca fu presa. Cosí andò a Cuma Ierone, pregato e malato. E vinse. Anche per l’avvenire il Dio gli sia propizio (59-75).

Augurî per Dinomene e per Etna. Pindaro esalta la vittoria del padre anche pel figlio, re d’Etna, che n’è partecipe. Il padre costruí per lui questa città, che, popolata di elementi dorici, vuol vivere sotto le leggi di Egimio e di Illo, due degli Eraclidi, cioè dei Dori. I quali Dori mossero dal Pindo, e vennero ad abitare Amicla, alle falde del Taigeto, accanto a Sparta, dove avevano dimora Castore e Polluce. Oh Giove, possa fiorir sempre questa città, retta da un signore guidato da savio padre ispirato da te. E i Fenici e gli Etruschi rimangano d’ora innanzi a casa loro, vedendo la strage di Cuma, per cui il mondo ellenico fu liberato dalla minaccia barbarica. Del resto, già la battaglia d’Imera andava messa accanto a quelle di Salamina e di Platea (75-105).

Ho raccolto — parla sempre Pindaro — questi ricordi al momento opportuno ed in breve, per non infastidir troppo la gente, a cui secca sentir cantare le lodi degli altri. Certo i successi di questi signori susciteranno invidie. Ma è meglio essere invidiati che compianti (105-11).

Consigli a Ierone (o a Dinomene). «Sii giusto. Sii veritiero, ché ogni tua parola è pesata, e tutti gli occhi ti sono addosso. Sii liberale. Non lasciarti abbindolare dai furbi. Pensa solo alla lode che segue la morte: a questa badano i poeti e gli storici».

Il piano è dunque chiaro ed organico. Solo mi sembra un po’ ambiguo il passaggio dal verso 52 al 55. Esso conclude certo il precedente augurio di felicità per Etna, con l’asseverare che gli uomini debbono ai Numi tutto quanto posseggono: forza, saggezza, facondia. Ma alla affermazione generale, e in specie alla facondia, sembra si connetta l'au-